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Leone Contini

Un pranzo immaginato dai prigionieri dei campi di concentramento della prima guerra mondiale che l'artista recupera da dei taccuini di famiglia e lo cucina. Un evento conviviale, in memoria di un'azione di resistenza collettiva, che rifletta su convivialità, comunità e identità.

07.04.2013

@ Kunstverein 
Amsterdam

Un progetto di Kunstverein Amsterdam con Kunstverein Milano,
Il quarto evento della serie Hush Hush, organizzato per i membri del Kunstverein di Amsterdam, Milano e New York, è un “pranzo immaginato” – ma con cibo vero – ideato, organizzato e introdotto dall’artista italiano Leone Contini (1976, Firenze). Il pranzo sarà costituito da una selezione di ricette regionali raccolte in un taccuino da soldati italiani prigionieri in Germania durante la Prima Guerra Mondiale.

*Da una poesia in vernacolo scritta a Cellelager da un internato


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Il quarto evento della serie Hush Hush, organizzato per i membri del Kunstverein di Amsterdam, Milano e New York, è un “pranzo immaginato” – ma con cibo vero – ideato, organizzato e introdotto dall’artista italiano Leone Contini (1976, Firenze). Il pranzo sarà costituito da una selezione di ricette regionali raccolte in un taccuino da soldati italiani prigionieri in Germania durante la Prima Guerra Mondiale.

Nell’ottobre del 1917 avvenne la peggiore sconfitta nella storia militare italiana: la “Rotta di Caporetto”. Tra il 24 ottobre e il 19 novembre furono fatti prigionieri circa 200 mila soldati; tra questi Giosuè Fiorentino, un ufficiale siciliano al tempo diciottenne, prozio di Contini. I prigionieri furono smistati nei campi di prigionia di Germania ed Austro-Ungheria e Giosuè trascorse l’ultimo anno di guerra a Cellelager, a nord di Hannover, assieme ad altri 3000 internati italiani.

Questa piccola comunità, sconfitta e spaesata, sperimentò freddo, fame e disperazione ma, allo stesso tempo, mise in atto strategie collettive di resistenza.

Alla “sbobba” del campo, che a stento manteneva in vita i prigionieri, si contrapponeva il cibo dei ricordi, intensamente desiderato e oggetto di interminabili discussioni tra i prigionieri. La condivisione del “cibo immaginato” era forse un tentativo di elaborare la fame, riformulare questo istinto primario e ricondurre una folla di corpi affamati – e in feroce competizione tra loro per la sopravvivenza biologica – a qualcosa di simile a una comunità.

Questa convivialità – seppur virtuale – era un’azione di resistenza collettiva.

Giosuè Fiorentino trascrisse, su due taccuini rilegati a mano, le ricette raccontate dai compagni di prigionia – intimi frammenti di vita familiare, un’età dell’oro perduta. Il risultato è un vasto mosaico di cucine regionali d’inizio 900, circa 250 ricette dal Friuli alla Sicilia, come furono ricordate dai 60 compagni di baracca di Giosuè. B98, la sigla della baracca – l’unità sociale minima nella vita del campo -, divenne il titolo di uno dei due ricettari. Queste inconsapevoli scritture etnografiche raccontano un particolare segmento di cultura materiale, frutto dell’intersezione tra la “comunità concreta”, costituita dalla baracca B98, e quella più vasta “comunità immaginata” chiamata Italia.

Questa convivialità virtuale, concepita come resistenza comunitaria nell’oscurità del primo conflitto mondiale, verrà trasformata in un’azione collettiva reale, nella forma di un pranzo domenicale.


Il progetto si contestualizza all'interno di Food/Corp, un progetto a lungo termini elaborato da Kunstverein Milano sulle relazioni fra culture, cibo e cucina.

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Il Menu Immaginato del 7 aprile 2013 lcontini_menu_immaginato